Corte di Cassazione – Sentenza 23 Ottobre 2019, n. 27099
Questa sentenza della Corte di Cassazione costituisce il fondamento giuridico per l’azione di rimborso delle accise sull’energia elettrica indebitamente pagate con il versamento dell’addizionale provinciale alla fornitura di energia elettrica negli anni 2010 e 2011. La sentenza applica il principio stabilito nella direttiva n. 2008/118/CE.
Ottieni il rimborso delle accise sull'energia elettrica
Con Intellcredit ottieni il rimborso dell’addizionale provinciale sulle accise dell’energia elettrica che la tua azienda ha versato negli anni 2010 e 2011 con il pagamento delle bollette. Grazie a questo servizio, la tua azienda non sosterrà spese anticipate né costi legali. Il compenso del nostro servizio infatti è esclusivamente una provvigione sul rimborso ottenuto (Success Fee).
Tributi – Addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica utilizzata nello stabilimento – Indebito pagamento – Istanza di rimborso in qualità di utente finale – Esclusione – Legittimazione attiva riservata ai soggetti che forniscono l’energia
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 6093/48/15 del 19/06/2015, la Commissione tributaria regionale della Campania (di seguito CTR) respingeva l’appello proposto dalla Agenzia delle dogane e dei monopoli avverso la sentenza n. 5489/02/14 della Commissione tributaria provinciale di Caserta (di seguito CTP), che aveva accolto il ricorso proposto dalla L.S. s.p.a. (di seguito Laminazione) avverso il diniego di rimborso dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica utilizzata nello stabilimento della società contribuente nel periodo febbraio 2010 – dicembre 2011.
1.1. Come si evince dalla sentenza della CTR: a) l’istanza di rimborso era stata presentata ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico accise – TUA) con riferimento all’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica di cui agli artt. 52 ss. TUA, introdotta dall’art. 6 del d.l. 29 novembre 1988, n. 511, conv. con modif. nella I. 27 gennaio 1989, n. 20; c) la CTP accoglieva il ricorso della società contribuente; d) la sentenza della CTP era appellata dalla Agenzia delle dogane.
1.2. Su queste premesse, la CTR motivava il rigetto dell’appello osservando che: a) come stabilito da Cass. S.U. n. 6589 del 19/03/2009, «il rimborso delle accise indebitamente pagate può essere chiesto ed ottenuto anche dal consumatore finale sul quale viene ad incidere il peso economico finale del tributo»; b) la disposizione dell’art. 14 TUA in materia di rimborso nulla riferisce in ordine alla legittimazione ed il silenzio va interpretato in senso estensivo, senza che possa diversamente argomentarsi dall’art. 53 TUA con riferimento ai soggetti obbligati al pagamento, disposizione che ha un ambito di operatività autonomo; c) l’addizionale provinciale è, peraltro, «non conforme alla normativa comunitaria richiedente specifiche finalità esorbitanti dal mero scopo di salvaguardare gli equilibri generali di bilancio, per cui da disapplicare in via retroattiva a decorrere dalla sua emanazione».
2. L’Agenzia delle dogane impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
3. La L. resisteva con controricorso e depositava memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle dogane deduce la violazione dell’art. 19 del d.l. 30 settembre 1982, n. 688, conv. con modif. nella I. 27 novembre 1982, n. 873, e dell’art. 14 TUA, nonché la falsa applicazione del medesimo d.l. n. 688 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando che, in materia di accise sull’energia elettrica, il rapporto d’imposta si svolge tra l’Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono l’energia, che, essendo gli unici tenuti al suo pagamento, sono anche gli unici a potere chiedere il rimborso, sicché difetterebbe la legittimazione attiva della L..
2. Il motivo è fondato per le considerazioni che seguono.
2.1. La ricostruzione del dato normativo può essere affidato agli ultimi arresti di questa Corte in materia (Cass. S.U. n. 33687 del 31/12/2018; Cass. n. 19618 del 01/10/2015; Cass. n. 9567 del 12/03/2013), ovviamente per quanto rileva ai fini del presente giudizio.
2.1.1. Secondo il Testo unico accise, nella versione applicabile al presente giudizio ratione temporis, per i prodotti sottoposti ad accisa l’obbligazione tributaria sorge al momento della loro fabbricazione ovvero della loro importazione (art. 2, comma 1); è obbligato al pagamento dell’accisa il titolare del deposito fiscale dal quale avviene l’immissione in consumo e gli altri soggetti nei cui confronti si verificano i presupposti per l’esigibilità dell’imposta (comma 4).
2.1.2. Gli obbligati al pagamento dell’accisa sull’energia elettrica sono, tra gli altri, «i soggetti che procedono alla fatturazione dell’energia elettrica ai consumatori finali, di seguito indicati come venditori» (art. 53, comma 1, lett. a), mentre «i crediti vantati dai soggetti passivi dell’accisa verso i cessionari dei prodotti per i quali i soggetti stessi hanno assolto tale tributo possono essere addebitati a titolo di rivalsa» (art. 16, comma 3); all’art. 56 si precisa, altresì, che le società fornitrici «hanno diritto di rivalsa sui consumatori finali» (art. 56).
2.1.3. Ai sensi dell’art. 14, «l’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata», ma il rimborso – previsto in via generale dall’art. 9, § 2, della direttiva n. 2008/118/CE, che fa riferimento alle modalità stabilite dai singoli Stati membri – «deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento» e che «qualora al termine di un procedimento giurisdizionale il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme» (testo, quest’ultimo, applicabile solo a far data dal 01/04/2010).
2.1.4. Il diritto al rimborso è, dunque, regolato, in via generale, dall’art. 14 TUA, mentre l’art. 19, primo comma, del d.l. 30 settembre 1982, n. 688, conv. con modif. nella l. 27 novembre 1982, n. 873, secondo cui «chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all’importazione, imposte di fabbricazione, imposte di consumo o diritti erariali (…) ha diritto al rimborso delle somme pagate quando prova documentalmente che l’onere non è stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti, salvo il caso di errore materiale», è applicabile unicamente «quando i tributi riscossi non rilevano per l’ordinamento comunitario» (art. 29, comma 3, della l. 29 dicembre 1990, n. 428).
2.1.5. Per il rimborso dei tributi rilevanti per l’ordinamento comunitario dispone il comma 2 dell’art. 29 della l. n. 428 del 1990, il quale stabilisce che: «I diritti doganali all’importazione, le imposte di fabbricazione, le imposte di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie sono rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti, circostanza che non può essere assunta dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni».
2.2. Dal combinato disposto delle menzionate disposizioni emerge che il primo soggetto passivo del rapporto tributario è il fornitore di energia, tenuto verso il fisco per il pagamento dell’accisa ovvero della relativa addizionale. Indi, egli può ribaltarne l’onere rivalendosi nei confronti dell’utente secondo la caratterizzazione tipologica delle accise; il che postula, per poter risultare efficace e garantire un gettito costante all’Erario, la concentrazione del controllo su pochi soggetti, ossia i produttori o gli importatori dei prodotti (Cass. n. 17627 del 06/08/2014). Per costoro, in sostanza, l’accisa è un costo sostenuto prima della cessione del bene, tale da farlo rientrare, ad esempio, nella base imponibile dell’IVA (Cass. n. 24015 del 03/10/2018).
2.2.1. Per altro verso, «la configurabilità della rivalsa come oggetto di un diritto e non come elemento connaturale ed ineludibile della fisionomia del tributo esclude la configurabilità del rapporto di sostituzione d’imposta e, per conseguenza, l’autonoma rilevanza del sostituito, ossia del consumatore finale» (in termini, Cass. n. 9567 del 2013, cit.).
2.2.2. Le superiori conclusioni trovano conferma nella giurisprudenza di questa Corte: sia pure con riferimento al gas metano, è stato, infatti, affermato che «il rapporto tributario inerente al pagamento dell’imposta si svolge solo tra la Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente il gas metano ai consumatori e ad esso è del tutto estraneo l’utente consumatore» (Cass. S.U. 25 maggio 2009, n. 11987), sicché «il solo soggetto obbligato verso l’amministrazione finanziaria è l’ente comunale che immette in consumo il gas e riscuote l’accisa inglobata nel prezzo (è una peculiarità che non incide sulla natura del tributo che resta distinto dal prezzo del gas) (…)» (Cass. S.U. 19 marzo 2009, n. 6589).
2.3. Uno schema del tutto analogo è seguito per il versamento delle imposte addizionali di cui all’art. 6, comma 3, del d.l. n. 511 del 1988 (nel testo applicabile ratione temporis), secondo cui dette imposte sono dovute, dai soggetti obbligati di cui all’art. 53 TUA (società fornitrici), al momento della fornitura dell’energia elettrica ai consumatori finali e che «le addizionali sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell’accisa sull’energia elettrica».
2.3.1. In buona sostanza, l’imposta è dovuta dai soggetti che forniscono direttamente il prodotto ai consumatori, di guisa che soggetto passivo dell’imposta è il fornitore del prodotto; quanto al consumatore, l’onere corrispondente all’imposta è su di lui traslato in virtù e nell’ambito di un fenomeno meramente economico. Ne deriva che il rapporto tributario inerente al pagamento dell’imposta si svolge soltanto tra l’Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente i prodotti, essendo ad esso estraneo l’utente consumatore.
2.3.2. Come è stato efficacemente rilevato, «i due rapporti, quello fra fornitore ed amministrazione finanziaria e quello fra fornitore e consumatore, si pongono quindi su due piani diversi: il primo ha rilievo tributario, il secondo civilistico» (cfr. Cass. n. 9567 del 2013, cit., laddove ulteriori riferimenti giurisprudenziali).
2.4. È stato ancora precisato, sia pure con riferimento all’IVA di rivalsa (Cass. n. 23288 del 27/09/2018), che dal compimento dell’operazione Imponibile scaturiscono tre rapporti (cfr. Cass. S.U. n. 26437 del 20/07/2017): uno, tra l’Amministrazione finanziaria e il cedente, relativo al pagamento dell’imposta; un secondo, tra il cedente e il cessionario, concernente la rivalsa; un terzo, tra l’Amministrazione e il cessionario, relativo alla detrazione dell’imposta assolta in via di rivalsa.
2.4.1. Si tratta di rapporti che, pur essendo collegati, non interferiscono tra loro e soltanto il cedente ha titolo ad agire per il rimborso nei confronti dell’Amministrazione, la quale, pertanto, essendo estranea al rapporto tra cedente e cessionario, non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto dallo stesso versato in via di rivalsa (Cass. n. 14933 del 06/07/2011; Cass. n. 17169 del 26/08/2015).
2.4.2. Al riguardo, la Corte di giustizia ha ripetutamente sottolineato (tra le tante, CGUE 27 aprile 2017, causa C-564/15, Farkas) che, in mancanza di disciplina dell’Unione in materia di domande di rimborso delle imposte, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possono essere presentate, purché i requisiti in questione rispettino i principi di equivalenza e di effettività, vale a dire, non siano meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi basati su norme di natura interna e non siano congegnati in modo da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (in termini, CGUE 15 marzo 2007, causa C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken, punto 37).
2.4.3. Peraltro, un sistema nel quale, da un lato, il venditore del bene che ha versato erroneamente alle autorità tributarie l’IVA può chiederne il rimborso e, dall’altro, l’acquirente di tale bene può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti di tale venditore, rispetta i principi di neutralità e di effettività, consentendo all’acquirente, gravato dell’imposta erroneamente fatturata, di ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate (CGUE 15 marzo 2007, causa C-35/05, cit., punti 38 e 39 e giurisprudenza ivi citata).
2.4.4. È, dunque, compito degli Stati membri prevedere gli strumenti e le modalità procedurali necessari per consentire a detto acquirente di recuperare l’imposta indebitamente fatturata, in modo da rispettare il principio di effettività. Sicché soltanto se il rimborso risulti impossibile o eccessivamente difficile, il principio di effettività può imporre che l’acquirente del bene in questione sia legittimato ad agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie (come nel caso di fallimento del venditore: CGUE 27 aprile 2017, causa C-564/15, cit.; conf., CGUE 31 maggio 2018, cause C- 660 e 661/16, KollroB e Wirti, punto 66).
2.4.5. Il fruitore dei beni o dei servizi può dunque ottenere il rimborso dell’imposta illegittimamente versata esperendo nei confronti del cedente o del prestatore un’azione di ripetizione d’indebito di rilevanza civilistica (vedi, in tema di IVA, CGUE 15 dicembre 2011, causa C-427/10, Banca popolare antoniana veneta, punto 42; e, in tema di accise, CGUE 20 ottobre 2011, causa C-94/10, Danfoss) ed eccezionalmente una azione diretta nei confronti dell’Erario, ove venga dedotta in relazione all’azione nei confronti del fornitore la violazione del principio di effettività.
2.5. Sotto quest’ultimo profilo, nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ. parte controricorrente introduce l’argomento secondo cui il presupposto normativo che consentirebbe al consumatore di chiedere al fornitore la restituzione di parte del prezzo corrispondente alle accise indebitamente versate è l’applicazione nei rapporti tra privati della direttiva n. 2008/118/CE, quale presupposto per la disapplicazione della disciplina di diritto interno in materia di addizionali sulle accise per contrasto con il diritto unionale e per l’emersione dell’indebito oggettivo.
2.5.1. La disapplicazione conseguirebbe alla cd. efficacia orizzontale tra privati delle direttive della UE; efficacia orizzontale che, tuttavia (osserva il controricorrente), viene esclusa dalla giurisprudenza unionale (CGUE 7 agosto 2018, causa C-122/17, Smith, punti 42-45 e giurisprudenza ivi richiamata, punto 49).
2.5.2. Pertanto: a) il consumatore finale non potrebbe invocare nei confronti del fornitore la disapplicazione della norma di diritto interno, posta a fondamento giuridico del diritto alla ripetizione di indebito nei suoi confronti della quota parte di prezzo corrispondente alla rivalsa dell’imposta versata dal fornitore all’Erario; b) la richiesta del consumatore di rimborso nei confronti del fornitore risulterebbe impossibile per ragioni di mero diritto, con conseguente legittimazione straordinaria dell’acquirente dell’energia elettrica all’esercizio dell’azione diretta per il rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.
2.6. L’eccezione non è fondata.
2.6.1. L’impossibilità o l’eccessiva difficoltà di cui al superiore § 2.4.4., diversamente da quanto sostiene la società contribuente, non sono di per sé ravvisabili per il fatto che la natura indebita del pagamento dell’imposta discenda dalla contrarietà di una norma nazionale a una direttiva, ma sono correlate alla situazione del soggetto passivo (nel caso in questione, del fornitore) e non già a quella del consumatore finale.
2.6.2. Esse rilevano, nella giurisprudenza unionale, o con riguardo alle modalità procedurali e ai requisiti previsti dallo Stato membro per la presentazione delle domande di rimborso da parte del suddetto soggetto passivo (si veda CGUE 21 marzo 2018, causa C-533/16, Volkswagen AG, relativa a un caso in cui il termine di decadenza previsto per il rimborso era scaduto, sempre per il soggetto passivo, prima della presentazione della relativa domanda); oppure quando l’insolvenza del soggetto passivo renda da parte sua il rimborso impossibile o eccessivamente difficile (si vedano, in particolare, CGUE 11 aprile 2019, in causa C-691/17, PORR Épitési Kft., punto 42, nonché CGUE 27 aprile 2017, causa C-564/15, cit.).
2.6.3. D’altronde, la stessa Corte di giustizia ha promosso la fissazione di termini diversi, là dove ha dichiarato che il principio di effettività è rispettato nel caso di un termine nazionale di prescrizione asseritamente più favorevole all’Amministrazione finanziaria rispetto al termine di prescrizione in vigore per i privati, purché il soggetto passivo possa effettivamente reclamare il rimborso dell’imposta di cui trattasi nei confronti della predetta amministrazione (CGUE 8 settembre 2011, in cause riunite C-89/10 e C-96/10, Q-Beef e Bosschaert, punto 42; CGUE 15 dicembre 2011, causa C-427/10, cit., punto 26).
2.6.4. In questo contesto, la Laminazione non ha allegato, né tantomeno provato che il proprio fornitore, soggetto passivo legittimato a richiedere il rimborso, non abbia avuto la possibilità di chiedere il rimborso e nemmeno che non abbia proposto la relativa domanda e, quindi, non ha provato, come suo onere specifico, i presupposti della propria legittimazione straordinaria (cfr. Cass. S.U. n. 2951 del 16/02/2016; Cass. n. 16904 del 27/06/2018).
2.6.5. Ed è appena il caso di rilevare che il consumatore si trova in una posizione di vantaggio, poiché può fruire di un termine di prescrizione ordinario per l’azione civilistica di ripetizione dell’indebito, più ampio di quello di decadenza assegnato al soggetto passivo per il rimborso.
2.7. Alla luce di tali premesse, questa Corte ritiene che – a dispetto della formulazione ellittica dell’art. 14, comma 2, TUA («l’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata»), che non contiene alcuna indicazione specifica dei soggetti legittimati – detta disposizione non possa ritenersi applicabile a tutti coloro che dimostrino di avere indebitamente pagato l’imposta, come ritenuto dalla CTR.
2.7.1. La suddetta statuizione, da un lato, si pone in contrasto con la separazione tra il rapporto di imposta (corrente tra erario e fornitore) e il rapporto di rivalsa (corrente tra fornitore e consumatore), dall’altro non considera che la stessa disposizione dell’art. 14, comma 2, TUA, ratione temporis applicabile, prevede implicitamente la possibilità per il consumatore di far valere l’illegittima traslazione del tributo nei confronti del fornitore.
2.7.2. La disposizione (più sopra riprodotta) prevede, infatti, che una volta esercitata vittoriosamente da parte del consumatore finale l’azione di rimborso nei confronti del fornitore, è quest’ultimo che ha novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza per far valere il diritto al rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, attribuendo, quindi, espressamente l’azione di rimborso al fornitore che abbia traslato l’imposta sul consumatore all’esito dell’azione da questi vittoriosamente esercitata nei suoi confronti.
2.7.3. Né può considerarsi dirimente il fatto che la traslazione dell’imposta dal fornitore al consumatore sterilizzerebbe le richieste di rimborso da parte del fornitore, in quanto la prova della traslazione rientra nell’onere, gravante sull’Amministrazione finanziaria (per effetto di Corte cost. 9 luglio 2002, n. 332), di evitare un ingiustificato arricchimento in favore del fornitore (Cass. n. 19618 del 01/10/2015; Cass. n. 11224 del 16/05/2007; Cass. n. 10939 del 24/05/2005); tanto che l’art. 14, comma 2, TUA considera l’azione di rimborso, in questo caso, come un posterius della vittoriosa azione proposta nei confronti del fornitore dal consumatore definitivamente inciso dal peso economico dell’imposta.
2.7.4. Tale orientamento non è nemmeno in contrastato con le pronunce che hanno affermato la giurisdizione tributaria, ma senza entrare nel merito della questione della legittimazione del consumatore finale, in materia di azione di rimborso proposta dal consumatore finale nei confronti dell’Erario (Cass. n. 33687 del 31/12/2018; Cass. S.U. n. 6589 del 2009, cit.).
2.8. Traendo le fila del discorso, può quindi affermarsi, con specifico riferimento alla materia delle accise e delle addizionali, che:
1) obbligato al pagamento delle accise nei confronti dell’Amministrazione doganale è unicamente il fornitore;
2) il fornitore può addebitare integralmente le accise pagate al consumatore finale;
3) i rapporti tra fornitore e Amministrazione doganale e fornitore e consumatore finale sono autonomi e non interferiscono tra loro;
4) in ragione della menzionata autonomia, il consumatore finale, anche in caso di addebito del tributo da parte del fornitore, non ha diritto a chiedere direttamente all’Amministrazione finanziaria il rimborso delle accise indebitamente corrisposte;
5) il diritto al rimborso spetta unicamente al fornitore, che può esercitarlo nei confronti dell’Amministrazione finanziaria: a) nel caso in cui non abbia addebitato l’imposta al consumatore finale, entro due anni dalla data del pagamento; b) nel caso in cui il consumatore finale abbia esercitato vittoriosamente nei suoi confronti azione di ripetizione di indebito, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza;
6) nel caso di addebito delle accise al consumatore finale e delle addizionali, quest’ultimo può esercitare l’azione civilistica di ripetizione di indebito direttamente nei confronti del fornitore, salvo chiedere eccezionalmente il rimborso anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria allorquando alleghi che l’azione esperibile nei confronti del fornitore si riveli oltremodo gravosa (come accade, ad esempio, nell’ipotesi di fallimento del fornitore).
2.9. Vanno, dunque, enunciati i seguenti principi di diritto:
«Le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui all’art. 6, comma 3, del d.l. n. 511 del 1988 (nel testo applicabile ratione temporis) sono dovute, al pari delle accise, dal fornitore al momento della fornitura dell’energia elettrica al consumatore finale e, nel caso di pagamento indebito, unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 504 del 1995 e dell’art. 29, comma 2, della l. n. 428 del 1990 è il fornitore»;
«Il consumatore finale dell’energia elettrica, a cui sono state addebitate le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui all’art. 6, comma 3, del d.l. n. 511 del 1988 (nel testo applicabile ratione temporis) da parte del fornitore, può agire nei confronti di quest’ultimo con l’ordinaria azione di ripetizione di indebito e, solo nel caso in cui tale azione si riveli impossibile o eccessivamente difficile con riferimento alla situazione in cui si trova il fornitore, può eccezionalmente chiedere il rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, nel rispetto del principio unionale di effettività e previa allegazione e dimostrazione delle circostanze di fatto che giustificano tale legittimazione straordinaria».
2.10. La sentenza della CTR non si è conformata al superiore principio di diritto, ritenendo che la Laminazione fosse sicuramente legittimata alla presentazione dell’istanza di rimborso.
3. Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle dogane deduce la violazione dell’art. 6 del d.l. n. 511 del 1988 e dell’art. 1, § 2, della direttiva n. 2008/118/CE, nonché la falsa applicazione del principio di disapplicazione del diritto nazionale per contrasto col diritto comunitario, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
3.1. In buona sostanza, si contesta che le addizionali provinciali previste dall’art. 6 del d.l. n. 511 del 1988 siano in contrasto con il diritto unionale, così che le stesse debbano essere disapplicate retroattivamente, come ritenuto dalla CTR.
4. Il motivo resta assorbito in ragione dell’accoglimento della prima censura.
5. In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso e assorbito il secondo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non essendovi ulteriori questioni di fatto da esaminare, la causa può essere decisa nel merito, con conseguente rigetto dell’originario ricorso della Laminazione.
5.1. La novità e la complessità delle questioni affrontate giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, e dichiara assorbito l’altro; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della L.S. s.p.a.; dichiara interamente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.